Est modus in rebus
da Antonella Cattani contemporary art
Per molti artisti la dimensione è “un modo di pensare”.
Le opere di grande formato, al di là dei linguaggi utilizzati, sono pertanto una parte essenziale della pratica artistica.
Agli esiti di questa peculiare attitudine, che accomuna i dodici artisti in mostra, è dedicata l’esposizione
“Est modus in rebus”.
Come recita il titolo – c’è una misura nelle cose – che, nel caso specifico si riferisce a quello spazio ideale ad accogliere la creazione pensata e, in certi casi, minuziosamente progettata, dall’artista.
Accanto al primo dato visivo di una certa spettacolarità, le opere in esposizione presentano “mondi” assai diversi tra di loro. Marco Tirelli trasforma una struttura architettonica in una apparizione pulviscolare colta nel pieno di un crescendo luminoso; ne scaturisce una gamma infinita di percezioni e suggestioni giocate sul rapporto tra luce e visione. Sempre a questa area di ricerca appartiene il lavoro di Emanuela Fiorelli e Paolo Radi che si distingue invece per i materiali impiegati.
L’opera di Gianni Dessì – un ritratto frontale nero su nero – mette invece in atto meccanismi opposti, direzionando l’attenzione del visitatore sullo sguardo della figura, unica fonte di luce. La premessa intellettuale a questo lavoro è che l’effige ritratta sia in un certo modo un ulteriore autoritratto, poiché, dice l’artista, io mi vedo attraverso il riverbero degli occhi che a mia volta osservo.
Anche Julia Krahn entra in relazione con le tematiche ponendo sé stessa quale soggetto dell’immagine; attraverso la fotografia, eseguita con l’autoscatto, rielabora iconografie note come la figura della Maddalena.
Di grande impatto visivo è la scultura-oggetto di Julia Bornefeld; si tratta di un pianoforte che l’artista ha privato dei meccanismi interni lasciando ben visibile la somiere, chiusa da una lastra in plexiglass sulla quale scorre lieve il segno di una pittura che si fa sonora.
La mostra prosegue con il dipinto di Max Rohr – una “case history”- in cui i personaggi come pure gli oggetti sembrano vivere sospesi nell’attesa di un evento risolutivo.
Sono invece le ombre di un numero infinito di alberi che si distendono oblique sulla tela a mettere in scena la meravigliosa ossessione di una natura che Giovanni Frangi interpreta secondo la sua personale regle du jeu – , titolo stesso dell’opera.
Infine due opere che si pongono come punti estremi della mostra: da una parte, Panorama del mondo di Giuseppe Spagnulo e dall’altra Gli appunti di Richard Feynman di Marco Di Giovanni. Quest’ultimo interviene con segni di matita mimetici sulla pagina del planisfero di agende moleskine con la conseguente perdita della percezione dei continenti a favore di un paesaggio “altro”. Spagnulo si serve invece della materia, polvere di carbone e ossido di ferro, per delineare sulla carta un panorama che non vuole né limiti né confini.