Martina Adami

Paolo Radi: Ritagli architettonici del cielo



La nuova stagione espositiva della galleria romana Anna Marra contemporanea si apre con la mostra di Paolo Radi. Alzando lo Sguardo, a cura di Lorenzo Respi, inaugurata il 2 ottobre, è visitabile fino al 30 novembre. In mostra lavori in carta e qualche opera in perspex e pvc, dove la successione dei piani sulla superficie, tipica della poetica di Radi, si carica, in special modo nelle carte, di significato e valore civile: la sovrapposizione materica equivale a quella semantica che diviene meno nitida per effetto del passaggio del tempo. La realizzazione di questa recente elegante serie di opere, tra le quali brilla l’opera dal titolo Discernere in se, è frutto di una ricerca che l’artista romano ha compiuto sulla memoria, non una qualsiasi, ma quella legata al luogo dove si trova la galleria: l’ex ghetto ebraico di Roma. Percorrendo un viaggio a ritroso nel tempo l’artista non ha potuto fare a meno di immaginare quel 16 ottobre del 1943 quando ebbe luogo il rastrellamento del ghetto capitolino, da parte delle truppe della Gestapo. La capacità di Radi è stata quella di riuscire a ricordare con delicatezza e poesia quel tragico e brutale evento, riportando velatamente alla luce questioni irrisolte e dolorose con un linguaggio che solo l’arte sa usare. Se le carte, trattate con gomme siliconiche opache e polimeri traslucidi, sono portatrici di memoria, simboli e storia; i lavori in perspex e pvc, brillano di luce propria e danno come l’impressione di imprigionare al loro interno qualcosa di celato che tenta di emergere in superficie. La gallerista Anna Marra ci ha accolto nel suo spazio, anticipandoci gli artisti delle future mostre – Fabrizio Cornelia ed Emanuela Fiorelli – oltre a darci l’opportunità di visitare la mostra in anteprima insieme all’artista Paolo Radi, al quale abbiamo fatto qualche domanda.
In che modo questa mostra rappresenta uno passo in avanti nel tuo percorso artistico?
«La novità sta nell’essermi servito della fotografia per la realizzazione di questa nuova serie di lavori su carta. Anche se non è la prima volta in questa occasione ne faccio uso in modo diverso».
Qual è la ricerca di fondo che ti ha portato alla realizzazione di questa serie di lavori per la mostra?
«Una mattina presto mentre giravo per i vicoli del ghetto, rivolsi lo sguardo verso l’alto e notai un corridoio luminoso nel cielo, una striscia costretta tra le tipiche architetture del luogo, come un labirinto, una strada che corre in velocità. Il mio pensiero immediatamente andò a quella mattina presto in cui deportarono tanta gente. Ho pensato così che l’unica memoria veramente comune fosse il cielo. Il cielo sottratto al tempo, è riferito a questa visione comune, nel momento in cui si alza lo sguardo. Dunque ho deciso di fare degli scatti verso l’alto e di incorporare la foto nel lavoro. Si tratta di un operazione che fa leva sul ricordo, o meglio sulla memoria comune. Ho usato la foto in quanto portatrice di memoria, senza cercare lo scatto particolare».
L’immagine fotografica non è nitida trovandosi tra gli strati che compongono l’opera, potresti chiarirci questa scelta?
«Si, oltre la carta in questi lavori ci sono strati di silicone e di stucco. L’effetto dello smarrimento e delle memoria, di quando i ricordi affiorano nella mente, sono concetti con i quali generalmente lavoro e che esprimo anche nelle opere in perspex. In modo particolare ho cercato di rappresentare l’affiorare dell’evento denso ancora di aspetti non molto chiari. Infatti, come tutte le questioni complesse, in questa vicenda vi sono dei punti oscuri, questioni non risolte e intricate da sciogliere».
Sempre nei lavori su carta, tra i diversi strati vi sono anche inserti testuali, di che cosa si tratta?
«Documenti e riviste, riferimenti testuali dell’epoca. A volte anche testi rovesciati, perché la memoria è anche confusa, non chiara. Altre volte questi sono sovrapposti come un vociare, quando la scrittura a un certo punto perde senso e diventa come un suono. Di conseguenza il cielo diviene parte di memoria comune».
Realizzi tu stesso la carta per i tuoi lavori?
«Quelle grandi sì, in altri casi utilizzo anche carte che trovo o le seleziono tra quelle che più mi piacciono. In altri casi isolo delle parti che reputo evocative».
Le forme e la struttura di questi lavori in perpex sono più in conformità con la tua usuale produzione, qual è il legame con i lavori in carta?
«Anche per questa tipologia di lavori ho continuato a lavorare sui ritagli architettonici del cielo. Nel mio lavoro il discorso sull’architettura è sempre fondamentale».

Paolo Radi nasce a Roma nel 1966. Il suo esordio espositivo è nel 1992, partecipando alla IV Edizione della Rassegna giovani artisti al palazzo delle Esposizioni di Roma. L’artista predilige nel suo lavoro la trasparenza degli acquerelli, e oppone a telai e iuta una materia duttile e fragile come la carta. Nelle opere realizzate dalla fine degli anni ’90 le cromie precedenti, si integrano a un’articolazione più asciutta della superficie e la carta viene lavorata con foglia d’argento e rame. L’apertura verso l’ambiente e la ridefinizione delle relazioni spaziali di questi anni si riversa anche nella sperimentazione di nuovi materiali come il perspex, il p.v.c. e la gomma siliconica. Tra le mostre e riconoscimenti si annoverano: Fondazione Sculpture Space di Utica, New York (2002); Premio San Luca nel 2002; “XIV Quadriennale” di Napoli (2003), “X Mostra Internazionale di Architettura-Biennale” di Venezia, Nuovo Padiglione Italiano per VEMA, la città del futuro (2006), ciclo di mostre “Experimenta” e “Springs in White” a New Delhi, Kolkata e Bangkok (2008), promosse dal Ministero degli Affari Esteri; Galleria Comunale d’arte Contemporanea al Montirone di Abano Terme. Nel 2012 è invitato dall’Istituto Italiano di Cultura a Lima (Perù) ad esporre le proprie opere presso la Galleria d’Arte visiva Centro Culturale Ccori Wasi Universidad Ricardo Palma. Il suo lavoro è presente in numerose collezioni pubbliche.