Opere Paolo Radi
L’oscuro e il Divenire
La trasformazione della materia è stata da sempre, nel mio operato, la modalità per unire insieme tempo e spazio. La trasformazione è data dall’unione di materiali diversi che, insieme, si completano ed evocano il passaggio da un luogo all’altro, da un tempo a un altro tempo. Questo passare e attraversare determinano smarrimento visivo, desiderio tattile e perdita di orientamento. Le opere sono una riflessione sul buio. Quando si è al buio, solitamente, si avanza mettendo avanti le mani. In questo caso si tratta di manovre nell’oscuro, di un’oscurità speciale: è una luce buia, dalla quale emergono un segno, una strada e lo stupore di aver finalmente percepito l’impercettibile. Le mani, quando plasmano e scrivono l’oscuro, sono in gran movimento e nonostante il progetto, a volte, tirano conclusioni inaspettate. Quello che cerco è il buio luminoso, non contraddizione implicita, ma eccitazione visiva nella percezione dell’oscurità. Nelle mie opere più recenti spesso appaiono dei passaggi, delle feritoie: queste sono proprio l’ingresso nel buio. Tagli illusori che alludono al passare, all’attraversare spazi altri, che mettono in relazione il tempo in istanti diversi. Lo sfasamento temporale è un’esigenza interna al mio lavoro. L’opera si tuffa nel passato e riemerge nel presente, proiettandosi poi nel futuro verso il divenire per un improbabile appuntamento. Quando lo sguardo è in profondità nell’opera, il vuoto oscuro si percepisce come assenza di tempo e perdita di memoria; appaiono segni, ombre, elementi solidi e incorporei, legati da un’intima oscurità e che sono argomentazione dell’assenza. La spirale di luce tenta di calibrare dall’interno la tensione generata dall’oscuro accompagnandolo sulla soglia del visibile. Io sono il custode della soglia, colui che è affetto da discronia cronica, il provocatore di evocazioni e sogni.
Paolo Radi
La trasformazione della materia è stata da sempre, nel mio operato, la modalità per unire insieme tempo e spazio. La trasformazione è data dall’unione di materiali diversi che, insieme, si completano ed evocano il passaggio da un luogo all’altro, da un tempo a un altro tempo. Questo passare e attraversare determinano smarrimento visivo, desiderio tattile e perdita di orientamento. Le opere sono una riflessione sul buio. Quando si è al buio, solitamente, si avanza mettendo avanti le mani. In questo caso si tratta di manovre nell’oscuro, di un’oscurità speciale: è una luce buia, dalla quale emergono un segno, una strada e lo stupore di aver finalmente percepito l’impercettibile. Le mani, quando plasmano e scrivono l’oscuro, sono in gran movimento e nonostante il progetto, a volte, tirano conclusioni inaspettate. Quello che cerco è il buio luminoso, non contraddizione implicita, ma eccitazione visiva nella percezione dell’oscurità. Nelle mie opere più recenti spesso appaiono dei passaggi, delle feritoie: queste sono proprio l’ingresso nel buio. Tagli illusori che alludono al passare, all’attraversare spazi altri, che mettono in relazione il tempo in istanti diversi. Lo sfasamento temporale è un’esigenza interna al mio lavoro. L’opera si tuffa nel passato e riemerge nel presente, proiettandosi poi nel futuro verso il divenire per un improbabile appuntamento. Quando lo sguardo è in profondità nell’opera, il vuoto oscuro si percepisce come assenza di tempo e perdita di memoria; appaiono segni, ombre, elementi solidi e incorporei, legati da un’intima oscurità e che sono argomentazione dell’assenza. La spirale di luce tenta di calibrare dall’interno la tensione generata dall’oscuro accompagnandolo sulla soglia del visibile. Io sono il custode della soglia, colui che è affetto da discronia cronica, il provocatore di evocazioni e sogni.
Paolo Radi